La prima visita psichiatrica. Guida pratica per l’utente

La visita psichiatrica consiste essenzialmente in un colloquio clinico tra un utente ed un professionista della salute mentale, finalizzato all’inquadramento diagnostico, ad una prescrizione terapeutica e ad un orientamento sulla problematica rivolto al diretto interessato. Lo psichiatra è un laureato in medicina e chirurgia, abilitato alla professione medica e specializzato in psichiatria. Tali qualifiche abilitano alla diagnosi ed alla prescrizione di trattamenti psichiatrici. I medici che hanno conseguito la specializzazione in psichiatria sono, inoltre, abilitati, dietro richiesta formale all’albo professionale di appartenenza, all’esercizio della psicoterapia.

Prima di iniziare, permettetemi una premessa a proposito delle preoccupazioni degli utenti candidati a sottoporsi a questo genere di accertamento. Viviamo immersi in una cultura che favorisce lo sviluppo di molte ansie e dubbi in coloro che si apprestano a sottoporsi ad una visita psichiatrica. Tali preoccupazioni rappresentano, in genere, una diretta emanazione di un’infinita schiera di falsi miti e pregiudizi sulla materia e sulle pratiche cliniche ad essa correlate. Connesso al problema culturale, il povero utente in attesa fa esperienza non di rado di sentimenti spiacevoli legati all’ansia per l’incontro con una persona sconosciuta, alla preoccupazione per il giudizio da parte dei familiari e del professionista stesso, nonché alla paura di essere frainteso o trattato con superficialità e condiscendenza. Molte domande possono affacciarsi nella mente di una persona in cerca di cure, solo per citarne alcune: <<sarà un professionista preparato? Come farà a comprendere il mio problema in pochi minuti di conversazione? Mi dirà cos’ho? Chissà quali assurdi farmaci vorrà propormi? Mi considererà un po’ svitato? Ma non sarà che tutti gli psichiatri sono un po’ svitati? Non dovrei piuttosto provare a farcela con le mie forze? Mi farà domande imbarazzanti, tipo sulla mia vita sessuale? Mi considererà patetico e smidollato? Le terapie mi renderanno uno zombie e modificheranno la mia personalità? Farà emergere dei traumi dimenticati facendomi stare male? Parlare tanto di un problema personale non lo rende ancora più doloroso? Mi trasformerà in un individuo dipendente da psicofarmaci? Come farà a definire un problema che io stesso non riesco bene a capire e descrivere? Si accorgerà di cose di cui non sono pronto a parlare e mi forzerà a discuterne? Mio cugino c’è stato ed ora sta ancora peggio, non è meglio parlare dei propri problemi ad un amico fidato? Meglio uno psicologo? Non più rapida e risolutiva l’ipnosi?

Può sembrare inconsueta l’attenzione riposta nelle raccomandazioni che seguiranno a proposito della raccolta e riorganizzazione delle informazioni da parte dell’utente, già prima dell’incontro. L’esperienza clinica, tuttavia, ci istruisce a considerare con molta attenzione le difficoltà dell’utente nell’esporre, di fronte ad una persona mai vista prima, argomenti personali spesso connessi a una notevole sofferenza soggettiva. L’imbarazzo e gli stati emotivi intensi possono frammentare il racconto, ostacolare attenzione e concentrazione, provocare blocchi o accelerare a tal punto il modo di parlare da far perdere di vista, a utente e psichiatra, i punti essenziali del quadro clinico e dell’esperienza soggettiva dell’utente. La pressante consapevolezza di avere un tempo limitato per parlare (o, per alcuni utenti, di averne troppo!) può complicare ulteriormente la situazione. Avere uno schema da cui partire, mentale o su carta, può aiutare a rilassarsi e recuperare il centro di gravità e il senso personale di ciò che s’intende raccontare. La sincerità e la completezza con le quali si forniranno le informazioni potrebbe incidere in modo determinante sull’appropriatezza delle decisioni del clinico e, dunque, sulla qualità dell’assistenza che si riceverà.

Non è questa la sede per discutere e tentare di fugare uno ad uno tutti questi dubbi; sarebbe persino presuntuoso tentare di farlo in assenza di un dialogo diretto. Tuttavia, fare un po’ di luce sulle caratteristiche di una prima visita psichiatrica e sui rispettivi ruoli di medico e utente potrebbe alleggerire il carico emotivo di questi pensieri. Dunque, da dove si parte?

Il ruolo dell’utente: quali informazioni raccogliere, cosa portare con sé, come porsi

Alcuni elementi della preparazione alla visita sono comuni alle altre visite mediche, ad esempio:  

  • Descrivere le manifestazioni del problema principale e i diversi sintomi
  • Riportare nel modo più preciso possibile l’esordio del problema (quando è iniziato)
  • Descriverne l’andamento: fluttuazioni nell’intensità dei sintomi, sequenza con la quale sono comparsi i diversi sintomi, periodi di remissione (scomparsa dei sintomi) e le ricadute (ritorno di sintomi che temporaneamente erano spariti)
  • Tentativi precedenti di cura (quali farmaci, a quali dosaggi, per quanto tempo, psicoterapie effettuate o in corso, etc.), motivi dell’eventuale interruzione dei trattamenti
  • Altri problemi medici di cui si soffre o si è sofferto in passato e relative terapie
  • Abitudini di vita ed eventuali comportamenti contrari alla salute
  • Analisi del sangue recenti e altri esami strumentali importanti (ad esempio, elettrocardiogramma)
  • Citare patologie (attinenti o meno al problema principale) da cui sono o sono stati affetti i propri familiari
  • Fare un breve elenco delle domande che si intendono porre
  • Se si stanno assumendo farmaci (psichiatrici e non), comunicare la misura in cui si stiano effettivamente rispettando le prescrizioni mediche (e le si siano rispettate nei precedenti tentativi di cura)
  • Occhiali da vista (in particolare quelli da lettura)
  • Apparecchi acustici
  • Citare le proprie intolleranze a farmaci o alimenti
  • In ultimo, ma non certo in ordine d’importanza, è necessario che l’utente si adoperi per arrivare puntuale all’appuntamento o, meglio ancora, con qualche minuto di anticipo. Arrivare in ritardo, potrebbe provocare un abbreviamento della durata della visita, con ripercussioni sulla qualità/quantità delle informazioni raccolte dal clinico. Andrebbe a questo proposito, considerato che spesso è sostanzialmente impossibile prolungare la visita oltre l’orario previsto per la sua conclusione. Bisogna, infatti, tenere presente che, specie nel nostro settore (psichiatria e psicoterapia), è da considerarsi una pessima pratica far slittare gli appuntamenti successivi, specie quelli di utenti arrivati puntualmente; giustamente i pazienti pretendono la stessa puntualità che si chiede loro e non riceverli ad orario reiteratamente potrebbe intaccare la qualità del rapporto terapeutico e, dunque, indirettamente, l’aderenza al trattamento e l’efficacia stessa della cura.

In sostanza, rischiare di comprimere il tempo dell’incontro a causa di un ritardo potrebbe inutilmente stressare processi decisionali tanto delicati come quelli relativi all’inquadramento diagnostico e alla prescrizione medica.

Altri elementi importanti da riferire allo psichiatra più specifici della branca sono:

  • Fattori di stress: ossia, eventi, problemi personali, problemi di familiari e amici, preoccupazioni, cambiamenti rilevanti nella condizione e nello stile di vita. Persino eventi generalmente considerati favorevoli come laurearsi, mettere al mondo un figlio, avviare una relazione sentimentale, avere una promozione sul lavoro, acquistare una bella casa e trasferirvisi, andare in pensione dopo averlo desiderato a lungo, guarire da una brutta malattia, vedere un figlio rendersi autonomo etc. possono paradossalmente minacciare i propri equilibri psicologici.
  • Cercare di ricostruire l’andamento dei fattori di stress (periodo in cui si sono presentati, si sono aggravati, loro durata) poiché le correlazioni temporali tra essi e i sintomi potrebbero suggerire chiavi di lettura preziose per comprendere il problema e fornire elementi utili alla diagnosi.
  • Caratteristiche stabili della propria personalità quali: livello di fiducia in se stessi e fattori che influenzano positivamente o negativamente l’autostima, preoccupazioni frequenti, modi di riflettere sulle proprie emozioni e sulle esperienze in genere (ovvero, modi di raccontare a se stessi ciò avviene dentro di sé e nei rapporti con il mondo esterno), capacità di contenere i propri impulsi (ossia, le spinte interne all’azione), senso del dovere, stabilità dei valori di riferimento, stile di comportamento nelle relazioni personali (familiari, partner, amicizie) e sociali (in contesti più ampi come il lavoro, le conoscenze, le amicizie meno intime, le persone appena conosciute), modi di reagire alle problematiche e predisporsi ad affrontarle, limiti e qualità positive che si attribuiscono a se stessi, desideri e aspirazioni, etc.
  • Cercare di capire se, come e quanto i propri sintomi stiano interferendo con la propria vita lavorativa, i propri studi, la propria vita affettiva e sociale, la gestione del proprio corpo e della propria salute, la qualità di vita in generale
  • Percezione personale del supporto interpersonale che si sta ricevendo da familiari, amici, sanità, società, etc.
  • È, infine, utile provare a mettere temporaneamente da parte i propri pregiudizi sulla materia (psichiatria). Si tratta, quasi sempre, di credenze assimilate passivamente dai media, da leggende metropolitane, da racconti di familiari o amici (casi individuali frettolosamente generalizzati), dai social, da film di successo e così via. È buona abitudine ammettere la provvisorietà di opinioni formate sul “sentito dire”, a proposito di campi scientifici complessi di cui si ha una conoscenza superficiale e di cui magari non si ha un’esperienza diretta.

Il ruolo dello psichiatra prima e durante la visita

Il primo contatto con lo psichiatra avviene generalmente su chiamata diretta da parte dell’utente o da parte di un suo familiare. Si considera, in ogni caso, preferibile che sia la persona direttamente interessata ad effettuare la chiamata poiché spesso ciò non solo riduce la tensione nel corso del successivo incontro, ma favorisce anche una responsabilizzazione attiva dell’utente fin dalle prime fasi del trattamento.

Per quanto sia comprensibile un certo disagio nel comunicare i termini del problema per telefono ad un perfetto sconosciuto, è necessario comunque che lo psichiatra possa porre poche semplici domande già durante la chiamata. Questa procedura è, agli effetti pratici, tutt’altro che una formalità poiché non è detto che quello specifico professionista possa prendere in carico un qualsiasi tipo di problema nello specifico contesto in cui opera; pertanto, proprio per evitare dispersioni di tempo, di denaro e di pazienza da parte dell’utente, è bene che il professionista abbia facoltà di decidere se fissare un appuntamento nel più breve tempo possibile o, piuttosto, suggerire un altro professionista o una struttura pubblica cui fare riferimento in alternativa (possibilità che, ben inteso, persiste anche dopo la prima visita).

Nel corso della chiamata, lo psichiatra è tenuto, se necessario, a dedicare all’utente alcuni minuti in più rispetto allo stretto indispensabile o, se impossibilitato in quel momento, a indicare un altro momento della giornata in cui possa essere richiamato e ascoltare con più calma. L’utente, inoltre, deve avere la possibilità di porre una o più domande quali, ad esempio: durata stimata della visita, costi, procedure, raggiungibilità dello studio, etc.

Non di rado, capita che siano altri professionisti a consigliare all’utente di rivolgersi allo psichiatra (psicoterapeuti, medici, educatori, etc.). Naturalmente, anche in questo caso, lo psichiatra dovrà dedicare alcuni minuti all’ascolto del collega inviante, appuntandosi gli elementi essenziali della descrizione del problema e delle cure in corso, ponendo, infine, le dovute domande rivolte a chiarire la cornice delle difficoltà del paziente e il senso dell’invio.

Per i motivi già esposti nel paragrafo sul ruolo dell’utente, lo psichiatra dovrà sforzarsi di accogliere l’utente con la necessaria puntualità e organizzarsi per dedicare un tempo adeguato all’incontro (per la prima visita sarebbe una buona pratica avere a disposizione un tempo compreso all’incirca tra 50 e 90 minuti). Il suo ruolo nelle fasi iniziali dell’incontro è quello di valutare lo stato emotivo dell’utente e di metterlo, nei limiti del possibile, a proprio agio. La prima parte del colloquio, generalmente, è dedicata all’ascolto accurato del racconto del paziente a proposito della sua difficoltà principale; gli interventi dello psichiatra saranno inizialmente brevi e rivolti soprattutto a favorire il resoconto dell’utente, aiutandolo a chiarirne alcuni aspetti, a riprendere il filo quando dovesse smarrirlo, a limitare le divagazioni ed a riprendere a parlare quando in difficoltà nel farlo. Durante l’ascolto, lo psichiatra si pone in una condizione tutt’altro che passiva: deve, infatti, mantenere livelli molto alti di attenzione e concentrazione, osservare le caratteristiche del linguaggio verbale e non verbale dell’utente, cercare, entro certi limiti, di immedesimarsi nelle vicende e nei sentimenti dell’utente per cogliere alcuni aspetti della sua esperienza soggettiva, decidere con attenzione quando intervenire per supportare l’utente nel suo resoconto. Nella fase iniziale, inoltre, il clinico comincia a formulare nella sua mente alcune ipotesi sulla natura delle difficoltà presentate, per quanto ancora provvisorie e tutte da verificare. Nella fase centrale dell’incontro, le domande dello psichiatra direzionano in modo più evidente il dialogo verso determinate aree della vita psicologica e pratica dell’utente. Il ruolo del clinico diviene più esplicitamente attivo e l’intento diviene principalmente quello di confermare, smentire o rifinire le impressioni derivate dalla prima parte del colloquio (Othmer E, Othmer SC, 2004). Vengono, inoltre, esplorate altri possibili aspetti del disagio (diverse aree sintomatologiche) e si indagano i potenziali fattori condizionanti, causali o aggravanti del problema, nonché le fonti di sollievo e speranza, presenti nella vita dell’utente o insite nel suo assetto di personalità.

Trattandosi di una visita medica, naturalmente, non mancheranno domande a proposito della salute e dei trattamenti connessi a problematiche organiche, nonché richieste riguardanti i più recenti esami di laboratorio e strumentali (con particolare riferimento alle analisi ematochimiche e all’elettrocardiogramma).

Stiamo così avvicinandoci alla fase finale della visita. A questo punto, in genere, il professionista domanda se ci siano altre informazioni potenzialmente utili alla comprensione del problema non ancora riferite dall’utente. Negli ultimi dieci-venti minuti di visita, il professionista è tenuto a riassumere gli elementi principali emersi dalle fasi precedenti e a esplicitare le proprie impressioni cliniche e la sua comprensione dell’insieme delle difficoltà sino a quel punto trattate. Il linguaggio con cui trasmettere la propria valutazione dovrà essere il più possibile chiaro e privo di termini troppo strettamente gergali (ossia, espressi in “medichese” o “psicologese”). Laddove dovesse essere necessario citare un termine tecnico, lo psichiatra avrà cura di tradurlo in un linguaggio più adeguato ai non addetti ai lavori. Una volta ascoltato il parere del clinico, l’utente dovrà sentirsi in diritto di esprimere liberamente dubbi e domande. Qualora ciò non dovesse avvenire in modo spontaneo, il clinico cercherà in ogni caso di sollecitare l’utente a commentare ed esporre le proprie richieste. Lo psichiatra esporrà quindi le diverse opzioni di trattamento: prescrizione di farmaci, psicoterapia, farmaci e psicoterapia in associazione o altro. Nel caso di una prescrizione farmacologica, la ricetta dovrà essere redatta nel modo più chiaro possibile ed il professionista domanderà all’utente di leggerla accuratamente prima che la visita termini e di porre tutte le domande ritenute necessarie. Potrebbe essere richiesto all’utente di compilare un questionario diagnostico (relativo a sintomi e comportamenti) al termine dell’incontro, con la finalità di chiarire ulteriormente il quadro clinico e di quantificare le diverse aree di sofferenza psicologica. I risultati del questionario saranno trattati in maniera del tutto confidenziale ed esposti all’interessato nella visita successiva. Inoltre, dopo qualche settimana o mese, una seconda somministrazione del questionario potrà essere impiegata per discutere assieme all’utente dell’entità della risposta ai trattamenti conseguita sino a quel punto. È necessario sottolineare quanto una compilazione sincera ed aperta del questionario possa aiutare il clinico a rifinire le proprie impressioni diagnostiche e a suggerirgli alcuni argomenti di discussione di notevole rilevanza per le successive visite. Al termine dell’incontro, si concorderà una visita di controllo ed approfondimento. Il clinico dovrà, infine, chiarire la propria reperibilità telefonica (giorni, orari), funzionale al monitoraggio degli effetti terapeutici e degli eventuali effetti collaterali (nel caso di una prescrizione farmacologica).

Consapevole di non aver illustrato esaustivamente le caratteristiche di un colloquio clinico in queste poche righe, a conclusione dell’articolo, mi sembra opportuno schematizzare e riassumere quanto sinora esposto, attraverso il seguente specchietto:

Ruolo e compiti dell’utenteRuolo e compiti dello psichiatra
Puntualità rispetto all’appuntamento concordato. Portare con sé la documentazione medica e un’agenda. Mettere tra parentesi pregiudizi e convinzioni dogmatiche e preconcette sulla psichiatria e sulla psicoterapiaPreparazione alla visita mediante contatti telefonici e rilettura degli appunti, puntualità
Descrizione del quadro del proprio disagioAccoglienza, rispetto, ascolto attivo, rispettoso ed empatico
Citazione del momento di esordio delle difficoltà e delle fluttuazioni nei sintomiFacilitazione dell’esposizione, immedesimazione, osservazione delle caratteristiche del linguaggio verbale e non verbale, nonché delle modalità d’interazione con il clinico (in questa come in altre fasi)
Descrizione dei fattori di stress e dei cambiamenti occorsi nel proprio stile di vita nel periodo antecedente all’insorgenzaModalità di ascolto simili alle fasi precedenti, domande esplorative e rivolte al chiarimento del racconto. Formulazione di ipotesi, ma contemporanea astensione da formulazioni diagnostiche definitive o dall’assunzione di nessi causali stabiliti come certi e indiscutibili
Racconto dei precedenti trattamentiPrendere nota dell’efficacia dei trattamenti, rilevare le modalità d’interazione dell’utente con precedenti clinici e con i trattamenti stessi.

Studio del rapporto dell’utente con l’idea di avere delle difficoltà psichiche.

Descrizione degli altri problemi medici, dei relativi trattamenti e delle abitudini di vita. Presentazione di referti medici (ad esempio, analisi del sangue, elettrocardiogramma).

Citare le intolleranze a farmaci e alimenti.

Patologie dei familiari e relativi trattamenti

Prendere appunti in modo più accurato. Diagnosi differenziale (problema psichico primario o secondario a patologie mediche, sostanze d’abuso o farmaci?)

Annotarsi le intolleranze

Considerazione del grado di efficacia di trattamenti cui sono stati esposti i familiari per problemi simili a quelli dell’utente

Descrivere la propria personalità abituale (modi consueti di essere, di reagire e di fare; con particolare riferimento alle fasi esenti dai sintomi in oggetto)Formulazione di ipotesi circa i nessi tra personalità e suscettibilità ai disturbi presentati. Ipotesi su sulle alterazioni della personalità indotte dai sintomi stessi. Riflessione su come gli elementi di personalità costituiscano dei fattori di complicazione o di alleviamento dei disturbi (analisi dei limiti personali e delle risorse interne).
Espressione dell’interferenza reciproca che si riesce a identificare tra disagio personale e funzionamento (scolastico, lavorativo, interpersonale, di personalità)Identificazione di nessi tra sintomi e funzionamento
Rilievi sul supporto sociale percepito (aiuto emotivo e pratico ricevuto da familiari, amici, colleghi, società, istituzioni)Rilievo delle risorse esterne effettivamente disponibili e analisi delle modalità di percezione e fruizione delle stesse da parte dell’utente
Ascolto attento ed espressione del proprio parere e delle proprie reazioni alle parole del clinico.

Eventuali aggiunte al racconto

Restituzione (spiegazione) delle proprie impressioni cliniche. Proposta delle proprie ipotesi sui rapporti tra diversi aspetti del racconto dell’utente (sintomi, fattori di stress, personalità, funzionamento, risorse esterne)
Lettura attenta della ricetta e richiesta di chiarimentiProposta di trattamento e/o ulteriori accertamenti. Particolare attenzione viene posta alle possibili interazioni con i farmaci che l’utente sta attualmente assumendo e alla verifica di eventuali controindicazioni al trattamento che s’intende proporre
Prendere nota della disponibilità ai contatti telefonici successivi; richieste e domande finaliSpiegazione dei benefici potenziali delle cure e dei tempi previsti per il loro manifestarsi. Avvertire dei possibili effetti collaterali. Evitare di promettere guarigioni miracolose o di criticare in modo grossolano e frettoloso i precedenti tentativi di cura. Comunicazione della propria disponibilità telefonica
Concordare un appuntamento successivo e prendere notaProposta di una data e di un orario per la visita di controllo
Attenzione, apertura e sincerità nella compilazione al questionario.Somministrazione del questionario o del test psicologico.

Obbligo di riservatezza sulle informazioni raccolte attraverso il colloquio ed il questionario; archiviazione del materiale in linea con l’attuale normativa sulla privacy

Bibliografia

Othmer E, Othmer SC (2002). L’intervista clinica con il DSM-IV-TR. Raffaello Cortina Editore, 2004.

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