L’importanza di avere obiettivi definiti per la psicoterapia: una guida pratica per gli utenti

“Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”

                             Lucio Anneo Seneca

(tempo medio di lettura: 6-8 minuti)

Perché alcuni terapeuti insistono tanto sulla creazione collaborativa di una lista di obiettivi per la psicoterapia? E cosa sono questi obiettivi in concreto?

La grande maggioranza delle persone entra nello studio di uno psicoterapeuta a causa di una sofferenza sufficientemente intensa da non consentire più di rimandare il temuto contatto con un professionista della salute mentale. Dunque, com’è naturale, la prima richiesta implicita o esplicita dell’utente è :<<Ho il tal sintomo, risolvimelo al più presto, possibilmente senza che la cura richieda alcuno sforzo o sofferenza da parte mia>>. Tale aspettativa, però, tanto infantile quanto improduttiva, non è da imputare all’utente poiché:

1. è naturale e umano il tentativo di rifuggire dal dolore e dalla fatica;

2. proveniamo tutti da una cultura dei rapporti con i professionisti della salute di stampo medico tradizionale, fondata sul modello:<<ho mal di schiena, dimmi quale pillola prendere per star meglio subito e non doverci più pensare>>, senza neppure essere più di tanto interessati all’inquadramento di quali alterazioni del nostro assetto posturale abbiano provocato o favorito quel mal di schiena e indifferenti a quanto, attraverso la conoscenza di questi ultimi, si potrebbe più facilmente programmare un trattamento efficace sul lungo termine. Per ora, sembra prevalere una mentalità consumistica sullo stampo del:<<pago-pretendo-tutto-subito-senza impegno da parte mia>>.

Tuttavia, per la psicoterapia (come peraltro in molte altre branche mediche) una lista di obiettivi tipo: a. riducimi l’ansia; b. toglimi l’insonnia; c. fammi sentire meno triste; d. fa sì che il mio partner rompa un po’ meno le scatole; e. fammi trovare lavoro …, stilata a mo’ di lista della spesa, non fornisce né una buona mappa, né una buona bussola per orientarsi nella scelta delle strategie e delle tecniche più adatte al caso e alla fase del trattamento. Inoltre, senza obiettivi più sostanziali (di fondo) di quelli appena elencati, sarà molto arduo il tracciamento dell’efficacia del trattamento perché i “sintomi” (appunto, ansia, depressione, insonnia, inappetenza …) tendono ad oscillare spontaneamente o a ridursi per il mero effetto consolatorio, invariabilmente transitorio, indotto dalla “confessione” del proprio disagio ad una persona formata ad ascoltare attivamente, empaticamente e a limitare o evitare del tutto la formulazione di giudizi sommari e la fornitura di consigli generici o prefabbricati.

Gli obiettivi adeguati a favorire il processo di cura sono orientati a sviluppare competenze e spesso suonano come espressioni tipo: a. vorrei imparare a farmi rispettare; b. vorrei evitare di rimandare continuamente le cose importanti e capire perché lo faccio; c. vorrei imparare a controllare meglio la mia rabbia nei conflitti con gli altri; d. vorrei capire perché mi stimo così poco e imparare ad apprezzarmi; e. vorrei capire come mai ottengo tanti complimenti ma pochi risultati; f. sono un bel/la ragazzo/a perciò non capisco perché i/le ragazzi/e mi rifiutino o mi abbandonino dopo poche uscite; g. vorrei comprendere l’insicurezza che sta dietro l’essermi bloccato negli studi ad un esame dalla laurea; h. sento che il perfezionismo mi sta danneggiando, vorrei uscirne; i. sento di dipendere troppo dal mio partner e così via.

In sostanza, gli obiettivi in grado di promuovere una psicoterapia dovrebbero essere accomunati dalle seguenti caratteristiche:

1. Favoriscono l’orientamento alla ricerca di chiavi di lettura (<<cosa c’è dietro?>>, <<cosa c’è sotto?>>, <<diamo senso a questa difficoltà prima di giudicarti>>) che diano senso e comprensibilità alle difficoltà dell’utente e che siano definiti in un linguaggio comprensibile a entrambe le parti;

2. A corollario del punto precedente, dei buoni obiettivi dovrebbero favorire la comprensione di quali meccanismi mentali (idee, modi di riflettere sulle cose, paure inconsapevoli, desideri inconfessati a sé stessi, ricordi dolorosi condizionanti) possano essere alla base dell’insorgenza dei sintomi e delle difficoltà di adattamento al proprio ambiente sociale e al proprio mondo interno; tutto ciò con la finalità di aumentare la consapevolezza e, successivamente, di attenuare o sostituire tali meccanismi con altri più funzionali e più facilmente verbalizzabili.

3. Una lista di obiettivi sensibili agli interventi terapeutici può consentire lo sviluppo di un’alleanza paziente/terapeuta basata su principi di chiarezza, trasparenza ed efficienza. A questo proposito, vale sempre la pena di ricordare che è possibile collaborare adeguatamente con un’altra persona solo a condizione che si sia entrambi disposti a confrontarsi apertamente su incomprensioni e criticità, ma anche di cercare di rispondere ad una serie di domande sul lavoro in corso e sulla relazione, quali, ad esempio: <<Cosa stiamo facendo? Perché impieghiamo questi strumenti di lavoro e non altri? Dove siamo diretti, cosa sta andando bene e cosa meno? Cosa sta limitando la nostra capacità di cooperare verso quegli obiettivi condivisi?>>, <<cosa non sta funzionando nella nostra collaborazione/relazione?>>, <<quali aspetti del nostro lavoro ti stanno (o ci stanno) mettendo a disagio?>>

4. Favorire il passaggio all’azione: un buon obiettivo terapeutico consente di formulare assieme all’utente un piano d’azione mirato all’esplorazione più approfondita e al superamento della difficoltà in oggetto, monitorando gli effetti degli interventi attivi del diretto interessato e ridefinendo di volta in volta i piani attraverso l’esame critico degli inevitabili fallimenti.

5. Un buon obiettivo deve essere realistico e rivolto al cambiamento di qualcosa che sia, almeno potenzialmente, sotto la sfera d’influenza del soggetto in cura. Pertanto, escludiamo a priori dalla lista degli obiettivi papabili quelli che hanno a che fare con il cambiamento di terze persone (partner, figli, colleghi, capi, insegnanti, genitori, etc)

6. Un obiettivo funzionale alla psicoterapia aiuta l’utente a sviluppare e mantenere un ruolo più attivo nel percorso di cura e ad assumersi la propria parte di responsabilità circa la riuscita dello stesso.

Riassumendo: degli obiettivi ben costruiti favoriscono la comprensione profonda di sé e delle proprie dinamiche disfunzionali, la collaborazione esplicita e attiva in terapia, il passaggio all’azione, l’apprendimento fornito dai problemi nel passaggio all’azione e la formulazione di nuovi piani d’azione migliorati e fondati su una consapevolezza più profonda (esperienziale e non solo teorica) di sé, delle proprie potenzialità e dei propri limiti.

La finalità ultima di tutto questo impegno è di innescare e consolidare nell’utente le seguenti abitudini e abilità:

  1. uscire dall’area di comfort, apprezzare le sfide e tollerare il dolore insito nei percorsi di cambiamento
  2. accettare e imparare a tollerare paura, vergogna, senso di fallimento, sensi di colpa per superare blocchi mentali e migliorare la salute generale
  3. sviluppare una più piena consapevolezza dei propri meccanismi interni automatici disfunzionali e delle proprie tipiche manovre di autoinganno
  4. migliorare il contatto emotivo con sé stessi e con gli altri, integrando progressivamente le diverse parti di sé (anche quelle che a prima vista apparivano reciprocamente incompatibili)
  5. sviluppare la facoltà di crescere autonomamente sul piano della maturità psicologica, le capacità di adattamento, ma anche l’arte della ribellione costruttiva e di continuare a farlo anche una volta terminata la psicoterapia